Prima del 1900, la Via Appia si presentava spoglia e priva di vegetazione, uno scenario molto diverso da quello attuale.
Fu proprio all’inizio del secolo, grazie anche all’intervento dei proprietari terrieri, che lungo la via Appia venne avviato un processo di messa a dimora di migliaia di alberi: principalmente Pini e Cipressi, per adornare la strada consolare, ma anche abeti, alberi di eucalipto, e molte altre varietà. La presenza di questi alberi e di terreni votati all’agricoltura denotò la necessità di apportare acqua alla zona e per questo si arrivò intorno agli anni ’40 alla costruzione di decine di pozzi, realizzati soprattutto con la tecnica del pozzo alla romana.
Nasce così la figura storica del pozzarolo e qui vi presentiamo l’artigiano che si occupò di realizzare il pozzo alla romana della Fonte di Acqua S. Maria alle Capannelle, scavato intorno agli anni ’50 e ancora oggi in uso.
Gino “Er Pozzarolo”: Il Maestro dei Pozzi alla Romana
Gino Simoni, noto come “Gino er Pozzarolo”, ha scolpito la sua arte nella campagna romana tra gli anni ’40 e ’50, nel territorio compreso tra Cecilia Metella fino all’odierno Anello del Grande Raccordo Anulare. La sua maestria nel creare pozzi alla romana ha plasmato il paesaggio agricolo della Via Appia, diventando una figura iconica nell’approvvigionamento idrico della zona.
Viveva nel casone di Via Appia Antica 222 e dalla sua dimora diede inizio a una famiglia numerosa. Il suo talento nell’ individuare il punto perfetto per scavare i pozzi, anche su terreni mai visti prima, lo ha reso un maestro nel suo mestiere.
L’Arte dello Scavo a Mano: La Creazione di Pozzi alla Romana
Gino Simoni, con maestria e intuizione, realizzava pozzi cosiddetti alla romana, scavati a mano e con piccone, con un diametro compreso tra centotrenta e centottanta centimetri. Una pratica artigianale che richiedeva tempo, dedizione e non pochi pericoli, ma che garantiva la sostenibilità dell’approvvigionamento idrico.
La Tecnica di Scavo: Terra, Picconi, e Rischi Sotterranei
Tutta la zona lungo la Via Appia si presentava ricca di acqua, ma sul lato destro della via consolare, dominava la colata lavica del complesso Vulcanico dei Colli Albani, conosciuta anche come lingua di Capo di Bove.
Questa conformazione geologica era sfidante per Gino che si trovava ad affrontare il banco di basalto alto fino a quaranta metri.
Per poter generare lo scavo si aiutava con piccole cariche esplosive, apriva la strada e poi proseguiva a mano e piccone.
“…terra rossa, terra arenaria, terra pulcino…Siamo arrivati”
Queste erano le parole, come riportate dalle specifiche testimonianze , che ascoltavano gli aiutanti che – posti sul ciglio del pozzo – si occupavano dell’argano detta “canocchia”, strumento a cui si avvolgeva la fune, al cui termine era agganciato un grosso secchio necessario per caricare i frammenti dello scavo.
Era un lavoro pericoloso, non tanto per i detriti o lo scavo che potenzialmente poteva cedere, ma soprattutto per i gas che potevano sprigionarsi improvvisamente durante lo scavo (si rammenta che tali operazioni avvenivano su terreni vulcanici).
Non era insolita infatti una risalita repentina ed alcune volte in extremis degli operatori per riprendere ossigeno. Gino guidava il processo con maestria e senza mostrare turbamento.
La Nascita di Acqua S. Maria alle Capannelle: Un Tributo a Gino Simoni
Oggi, mentre visitate la Fonte di Acqua S. Maria alle Capannelle, riflettete sull’eredità lasciata da Gino Simoni, il pozzarolo, che con sapiente maestria ha scolpito questo pozzo a tutt’oggi utilizzato per captare quest’acqua unica per le sue proprietà organolettiche.
La sua abilità, la sua dedizione al lavoro e il rispetto per il mestiere artigianale del pozzarolo si riscontra in quest’opera d’arte che ha reso un tributo tangibile alla storia del territorio.